domenica 25 febbraio 2007

WOZ [01, in realtà]



L'esperimento è stato fatto, dunque e, comunque, andava fatto. Quello che i prossimi post comunicheranno - per chi c'è stato (e mi attendo commenti) e per chi no, come in una sorta di album di famiglia, piuttosto che una parziale raccolta di fotogrammi - affiorerà da quello che i ricordi e l'oblio in questi tre anni hanno lasciato permanere. Per questo motivo, appunto, ho raccolto delle foto tratte da vari momenti del laboratorio. Come quella qui sopra, un momento relativo all'accoglienza degli ospiti (che erano miei studenti a Reggio Calabria). La riflessione che ho fatto riguardo a quell'esperienza è che poteva essere realizzata dovunque. Riace era un pretesto urbano, che si sarebbe potuto chiamare Bova, Milo, Pentedattilo o Lampedusa. Un pretesto per capire cosa avrebbe cambiato di un progetto, o come sarebbe cambiato l'atteggiamento di designers in nuce di fronte al corpo reale di una città, o anche di spazi domestici, con i quali si sarebbero dovuti confrontare. Devo dire che la fortuna (anche critica) di Woz in questi primi tre anni è dovuta al coraggio di quelle trenta persone di accettare la sfida. Si fossero rifiutati, non sarebbe successo nulla.



Inoltre, per dirla tutta, questa è una delle foto più belle di quella edizione di Woz. La ragazza che guarda verso il paesaggio è appena arrivata, ha ancora un bagaglio sulle spalle e prova a cercare di immaginare (questo lo penso io) come ci si confronterà con quel posto. In cima alla collina di fronte, per esempio, alla fine dei tre giorni Totò Melita collocherà il suo "ferro". Il terrazzo qui ritratto diventerà uno dei posti topici del Laboratorio, luogo d'incontro collettivo e di lavoro, e ritornerà ad esserlo, se si vuole, con maggiore forza l'anno del Woz in cui Riace non sarà più un pretesto ma una scelta. Quella ragazza oggi è un architetto.

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